Narrazioni, n. 1 – febbraio-maggio 2012

Default! Narrazioni del malessere italiano (2010-11). La letteratura e l’economia non sono due mondi distinti e distanti tra loro. In tempi di crisi, di metafore suggerite prepotentemente dai titoli di cronaca e dagli studi sociologici, narrare del sistema lavoro, della bolla speculativa, della finanza democratica, o di un più generale spirito del tempo, è certamente un modo per non perdere la bussola della realtà. Così, nel corso degli ultimi anni, alcuni scrittori hanno gettato il loro sguardo sul mondo claustrofobico della finanza o sull’ossessione consumista compulsiva (come Vincenzo Latronico nell’importante La cospirazione delle colombe). Non pochi invece sono gli autori che si sono cimentati nella narrazione
delle «tragedie normali» della precarietà, tanto che quello della letteratura flessibile o della letteratura post-industriale è diventato un vero e proprio genere, che ha conquistato una sua piccola nicchia di mercato. Tra i lavori recenti più interessanti spicca Quelli che però è lo stesso di Silvia Dai Pra’, capace di cogliere finemente, e ironicamente, il ‘brusio’ della varia umanità che affolla la scuola di Ostia e i suoi degradati dintorni e Prove di felicità a Roma Est dello scrittore e regista cinematografico Roan Johnson dove, superando la dimensione individuale, il giovane precario protagonista viene posto in diretta relazione con gli stili di vita e i tic quotidiani di
una Roma contraddittoria e a tratti paurosa. Mentre Acciaio di Silvia Avallone e Ternitti di Mario Desiati raccontano – sia pure con accenti e consapevolezza diverse – quello che è sopravvissuto di una storia esaurita e disperata, quasi a rimpiangere una classe sociale sconfitta e liquefatta.

Realismi e post-realismi. Vi è una stretta correlazione tra il primato, di inizio millennio, del romanzo realista tradizionale e un diffuso bisogno di “narrare il proprio tempo”. Tuttavia questo bisogno di “raccontare il mondo” e “ri-scoprire l’Italia” deve fare i conti con l’ineludibile necessità di andare, per così dire, “oltre la cronaca”. In altre parole, deve illuminare quella zona oscura che aleggia e serpeggia all’interno e all’esterno della pletora di immagini e descrizioni con cui le varie “cronache in diretta” consegnano il mondo alla nostra memoria mediatica e, quindi, al nostro ricordo personale. “Quale narrazione”, dunque, è possibile se il “discorso sul mondo” ha sostituito il mondo, se la realtà nega la realtà?

Lavoro critico. Due possibili modi di intendere il rapporto fra romanzo e narrazione storica, prescindendo da canoniche nozioni di genere: Nostra signora dei Turchi di Carmelo Bene e Storia della colonna infame, Del romanzo storico, Dell’invenzione di Alessandro
Manzoni.