C’è chi fa colazione leggendo Il digitale e la scuola italiana e direi che è un ottimo modo di iniziare la giornata (la foto non è mia, giuro). A proposito del saggio (ancora per un po’ solo in versione digitale), vorrei dire due o tre cose che nel libro non ci sono, ma di cui vorrei parlare nel corso delle presentazioni che farò e che ho già iniziato a organizzare qua e là per l’Italia.
La prima salterà agli occhi anche del lettore più distratto: non c’è #labuonascuola renziana. Non è un’assenza dovuta ai tempi di stampa eccetera: il tempo per analizzare la proposta dell’attuale governo c’era, solo che non ho ritenuto opportuno farlo, per due semplici ragioni: la prima è perché questo governo, quanto e più di altri, è molto propenso alle dichiarazioni altisonanti a cui spesso segue il nulla o quasi. In secondo luogo perché le riforme, vere o presunte, si giudicano dopo, non prima, quando sono solo buone intenzioni, come tante che le hanno precedute.
E con questo chiudo il capitolo #labuonascuola, che del resto si sta chiudendo anche da solo, senza molta sostanza a suo carico.
Poi ci sono degli argomenti che mi piacerebbe approfondire nel corso degli incontri che terrò in giro per l’Italia per parlare non solo del libro, ma in generale per parlare con gli insegnanti e di come stanno vivendo questo momento a dir poco particolare e delicato.
Per esempio, mi piacerebbe sapere cosa pensano di articoli come questo di Elisa Lucchesi (a cui dedico un box di approfondimento nel mio libro) in cui si parla di un insegnante “inesistente“, come l’Agilulfo del romanzo di Calvino: un articolo spassosissimo, arguto e che trovo tristemente e profondamente vero.
Oppure vorrei accennare ai concetti di transmedialità e crossmedialità (qui esposti molto chiaramente) e chiarire che finché si penserà a un “testo digitale” come un libro in PDF con qualche video o audio, è chiaro che i ragazzi preferiranno sempre il cartaceo, come amano titolare i soliti giornalisti proni agli interessi editoriali più retrivi e fuorvianti. Il digitale è ben altro, e passa per vie meno lineari, per percorsi tutti da costruire, magari insieme agli studenti.
Infine, mi piacerebbe affrontare anche il tema del “fare“, del laboratorio come ambiente didattico molto importante perché permette a chi apprende di avere concretamente tra le mani il risultato del suo processo di apprendimento. A questo proposito, mi ha intrigato molto questo articolo sulla cultura dei “maker” e la scuola, due mondi affatto inconciliabili.
Concludo con un articolo che parla del “Principio del terzo click” interessante già in sé e che si conclude con una frase che riassume uno dei punti cardinali del mio saggio breve: “la scuola digitale deve porsi questo obiettivo: costruire un modello culturale, più profondamente un modello mentale, strutturato in organizzatori concettuali, che consenta di educare ed auto-educare, nativi digitali ed adulti migranti digitali, ad una ricerca in rete consapevole“.
2 thoughts on “Quello che nel libro non c’è, ma di cui parlerò”